giovedì 25 dicembre 2025

La nascita della cicala nel mito greco e l'amore tra Eos e Titone

Il mito greco della nascita della cicala

La cicala nel mito greco: una creatura solare e canora, protagonista di molteplici racconti sulla sua origine tra natura, arte e destino... 

- A cura di Andrea Contorni

Il canto della cicala attraversa l'estate come una voce antica, insistente e spesso fuori dal tempo. Per gli antichi Greci non era un semplice suono della Natura, ma il segno di storie remote, fatte di metamorfosi, di arte e di desiderio d'eternità. Un lungo racconto che affonda le radici nella terra e nella luce e che culmina nella struggente leggenda di Eos e Titone, dove il canto diventa appunto destino... Per questo nel mondo greco la cicala era considerata una creatura carica di significati profondi, simbolici e spirituali. Il suo canto incessante, legato alla luce e al calore, la rese protagonista di diversi miti, leggende e riflessioni filosofiche. È curioso il fatto che l'origine della cicala non aveva una sola spiegazione mitica: più racconti convivono, stratificati nel tempo, diversi tra loro, quasi in antitesi, fino a confluire nel celebre e commovente mito di Eos e Titone, che ne rappresenta la versione più poetica e drammatica. Ho affrontato in altri articoli la storia di questo amore impossibile tra una dea, meravigliosa ma maledetta (poi vi spiegherò il perché) e un uomo mortale di grande fascino. In questo scritto, approfondirò ulteriormente l'argomento andando a raccontare tutte le versioni del mito della nascita della cicala in base alle fonti in nostro possesso.

La cicala nata dalla terra: il mito dell'autoctonia

Una delle credenze più arcaiche sosteneva che le cicale nascessero direttamente dalla terra, senza bisogno necessario di accoppiamento. Questa idea fu portata avanti anche da Aristotele nel suo trattato Historia Animalium dove sostenne che cicale, locuste e grilli potevano essere generate sia da riproduzione sessuata che in modo spontaneo da fango, terra, legno e rugiada. Le cicale a detta degli autori antichi non si nutrivano affatto o traevano sostentamento dall'aria e appunto dalla rugiada del mattino. Siamo dinanzi a un ideale di purezza e di non contaminazione perché questi esserini non espletavano in tal modo bisogni corporali. Plinio il Vecchio, scrittore e naturalista romano, riprese con forza questa tesi ovviamente errata. La cicala scaturita dal suolo diventò emblema di autoctonia e di appartenenza autentica alla terra. I nobili ateniesi portavano spesso ornamenti e fibule a forma di cicala, anche durante la celebrazione dei Misteri Eleusini, sia per onorare la purezza spirituale che per dichiarare apertamente di essere "figli dell'Attica", dunque legati alla propria terra come le cicale che ne emergevano. Devo sottolineare però che Aristotele trattò le cicale più da un punto di vista naturalistico che spirituale. Consigliava infatti di mangiare le cicale soprattutto nella loro fase di ninfe, prima della schiusa, e come femmine adulte ricche di uova. Questi consigli culinari stonano con quanto spiegato poc'anzi. Di contro, Plutarco ribadisce che molti greci ritenevano empio cibarsi di cicale, proprio perché legate alla sacralità divina. Vediamo perché...

La cicala e le Muse: il canto che consuma il corpo

La tradizione collega l'origine della cicala al potere assoluto dell'arte. Il mito ci spiega da dove è scaturita la peculiarità delle cicale di vivere cantando in assenza di nutrimento. Cibarsi di aria o di rugiada significa di fatto non mangiare affatto. Esisteva in un tempo lontanissimo un gruppo di uomini che viveva sulla terra prima che nascessero le Muse. Quando queste comparvero e con esse il canto, tali uomini rimasero talmente affascinati dalle dolci melodie che cantando a loro volta non si curarono più di cibo e acqua né di riprodursi. Gli esaltati artisti morirono senza accorgersene. Proprio da loro ebbe origine la stirpe delle cicale perché le Muse, commosse dall'amore degli uomini per la musica, li trasformarono in esseri che potessero cantare senza alcuna necessità di mangiare fino alla morte. Una volta trapassate, le cicale si recavano dalle Muse (quattro nello specifico), Tersicore, Erato, Calliope e Urania, per riferire chi tra gli uomini le onorava e con quale devozione e chi invece le dimenticava. Questa storia simboleggia come l'arte sia in grado di trascendere la materia ed elegge la cicala a mediatrice tra l'umano e il divino. Il mito delle cicale così come l'ho raccontato in questo paragrafo fu scritto da Platone nel Fedro, un dialogo immaginario tra Socrate e Fedro, composto da tre discorsi sul tema dell'amore. La tematica del canto delle cicale senza nutrimento ritorna anche nella favola di Esopo "L'asino e le cicale". Un asino geloso della voce melodiosa delle cicale, chiede loro cosa mangino per cantare così bene. Quelle rispondono "solo rugiada". L'asino muore di fame nel tentativo di imitarle. Da capire poi perché lo stesso Esopo concepì anche la favola de "La cicala e la formica", dove l'insetto sacro non è che faccia proprio un figurone passando per irresponsabile canterino dinanzi alla laboriosità della formica.

Illustrazione di fantasia di Eos e Titone

Eos e Titone: la nascita della cicala come destino

Drammatico ed emozionante è il mito dell'amore tra Eos e Titone. Una vicenda che ci regala l'origine più struggente della cicala. Andiamo con ordine: chi erano Eos e Titone?

Eos, figlia del titano Iperione e di Teia, sorella di Helios, (personificazione del Sole) e di Selene (personificazione della Luna), era la dea dell'alba, colei che apriva le porte del paradiso affinché il sole sorgesse. Donna alata di straordinario fascino, tanto da concorrere con Afrodite, finì per inimicarsi proprio la vendicativa dea dell'amore. C'è un dipinto di Eos tra i tanti che ritengo letteralmente meraviglioso: si tratta dell'opera "Le Porte dell'Alba" di Herbert James Draper. Lo trovate in fondo a questo mio articolo, perché si Eos ho già scritto in passato. Tornando alla faida tra Eos e Afrodite, nacque perché Eos si concesse più volte ad Ares. Afrodite che considerava Ares il suo amante prediletto, maledisse la povera dea alata, condannandola a innamorarsi di continuo di uomini mortali. Fu così che Eos iniziò a rapire ragazzi di bell'aspetto per farli suoi. Tra i malcapitati, il gigante Orione, il nobile Cefalo e il giovane Clito al cui aspetto Eos diede il dono dell'immortalità. Cosa che non le riuscì con il povero Titone, principe troiano di straordinaria bellezza. Trascinato a forza in Etiopia, Titone finì per innamorarsi di Eos e i due vissero una storia importante, condita da due figli: Emazione e Memnone, un vero e proprio eroe al pari di Achille ed Ettore.

Gli anni passarono. Titone era sempre più vecchio e stanco pur essendo immortale. Eos nel chiedere a Zeus l'immortalità per il suo amato, aveva dimenticato l'eterna giovinezza. E Zeus, con un filo di malizia, aveva concesso il dono ben sapendo che si sarebbe trasformato in tragedia. Titone ormai incapace di muovere le membra a causa della vecchiaia si limitava ad emettere un verso stridulo. Eos per pietà lo trasformò o lo fece trasformare da Zeus in cicala.

È fondamentale chiarire un punto spesso semplificato dalla divulgazione contemporanea: nessuna fonte antica racconta in forma narrativa compiuta la trasformazione di Titone in cicala. Il testo arcaico fondamentale, l'Inno Omerico ad Afrodite, descrive l'uomo reso immortale ma condannato a un invecchiamento eterno, fino a essere ridotto a pura voce, privo di forza e corpo.

Ma quando poi lo colse l’estrema vecchiezza odïosa,
né muover piú potea, né pure agitare le membra,
questo le parve (ad Eos) il migliore partito: rinchiuso tenerlo
nel talamo, e su lui serrare le fulgide imposte.
Un cianciuglío perenne gli uscía dalle labbra, né ombra
piú della forza avea, ch'ebbe un giorno nell'agili membra
("Ad Afrodite - Inno", traduzione di Ettore Romagnoli)

Questa immagine viene ripresa e rafforzata da altri autori ma la metamorfosi di Titone in cicala non nasce come episodio spettacolare, ma come sintesi simbolica di elementi coerenti: immortalità senza giovinezza, dissoluzione del corpo e appunto, sopravvivenza della sola voce. Sarà la mitografia tardo-antica a rendere questa identificazione esplicita: Servio Mario Onorato, grammatico e filologo romano del IV secolo, nel commento alle Georgiche di Virgilio (III, 328), afferma apertamente che Titone, ottenuta l'immortalità ma consumato dalla vecchiaia, fu trasformato in cicala, perché perduto il corpo, conservò soltanto la voce. Discorso simile si applica a tanti altri particolari di questo mito. Qualcuno riporta ad esempio che Eos, infastidita dai versi striduli del suo ex amante, lo abbia rinchiuso in una grotta e quello, senza intercessione divina, si sia trasformato in cicala.

Per concludere; anche questo articolo ha subito una metamorfosi perché da che doveva essere semplice e veloce da scrivere è diventato un'Odissea. Nel tentativo di risalire alle fonti, ho passato in rassegna tanti di quei testi da aver compreso, una volta di più, quante insidie nasconda la mitologia. Prendiamo per buona la versione oggi più diffusa del mito di Eos e Titone e della nascita della cicala. Essa ha un significato profondo che ho spiegato nel breve video in allegato. Buona visione!

Articolo a cura di Andrea Contorni
Giornalista e divulgatore culturale.
Approfondimenti, libri e progetti su → andreacontorni.com